Post-Covid: incremento dei rischi reato e strumenti di tutela

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Alcune prese di posizione di istituzioni italiane ed europee.

Partiamo da un dato: sorprendendo gli analisti politici ed economici e scontentando una fetta significativa dei governi che fanno parte della UE, la presidente della Commissione europea von der Leyen il 27 maggio scorso ha annunciato il varo del Recovery Fund con una dotazione di 750 mld di euro, dei quali i due terzi a titolo di grants, ovvero trasferimenti a fondo perduto. All’Italia sembra sia riservato un importo complessivo di 173 mld, dei quali circa la metà a titolo di grants.

 

Questo annuncio è stato salutato dalla maggior parte dei commentatori come un radicale, e benvenuto, cambio di prospettiva da parte della UE, da un punto di vista sia economico che istituzionale. Esso è stato preceduto dall’annuncio del progetto Merkel-Macron e da alcune dichiarazioni di esponenti politici tedeschi dalle quali traspare un rinnovato accento sull’importanza epocale di difendere la coesione europea e aiutare i paesi più colpiti dal covid.

 

L’ex ministro Schauble, che tutti ricordiamo per il suo arcigno rigore, ha affermato che offrire solo prestiti ai paesi colpiti dalla pandemia sarebbe come tirare ai bisognosi pietre invece di pane. La Cancelliera Merkel, nel contesto di valutazioni sulle misure necessarie per evitare che la crisi economica causata dalla pandemia travolga l’Unione Europea, ha riconosciuto che lo Stato nazionale da solo non ha futuro.

 

Si dice che una delle cause delle nuove prese di posizione della leadership tedesca sia stata la recente pronuncia della Corte Costituzionale di quel paese, la quale ha messo in dubbio la sentenza della Corte di Giustizia UE che aveva legittimato l’azione della Banca Centrale Europea e in specie gli acquisti massicci di titoli degli Stati membri. Ciò avrebbe convinto Merkel che non è più possibile delegare unicamente alla BCE gli interventi a sostegno dell’economia dei paesi membri ma che questo compito va assunto in prima persona dalla Commissione e dunque nel quadro del bilancio dell’Unione.

 

Quali che siano le riflessioni sottostanti queste trasformazioni culturali, non si può, a mio avviso, che accoglierle con favore.

 

A conti fatti, gli interventi conseguenti alla crisi causata dalla pandemia fino ad oggi messi in campo dalla UE sono imponenti: il Recovery Fund da 750 mld si aggiunge al Programma Sure contro la disoccupazione, che ne vale altri 100; ai prestiti alle imprese annunciati dalla Banca Europea degli Investimenti per altri 200 mld; ai fondi del Meccanismo Europeo di Stabilità finalizzati ad interventi di miglioramento dei sistemi sanitari (36 mld); al programma di ulteriori acquisti di titoli sovrani per 700 mld da parte della Banca Centrale Europea.

 

Il Recovery Fund sarà vincolato alla realizzazione di un Piano nazionale, che dovrà essere presentato da ogni Stato membro e indicare degli obiettivi prioritari. Le recenti Raccomandazioni della Commissione UE all’Italia puntano il dito sulla necessità di rafforzare il sistema sanitario, di intervenire contro la disoccupazione, sostenere le PMI, investire nei sistemi di istruzione e formazione, migliorare l’efficienza della giustizia e della P.A., combattere l’evasione e l’elusione fiscale e il riciclaggio. Obiettivi comuni a tutti gli Stati membri sono la transizione ecologica e la digitalizzazione.

 

I fondi del Recovery Fund verranno erogati in tranches, legate ai risultati raggiunti nel perseguimento degli obiettivi che ogni Stato si sarà dato.

 

Si prospetta dunque un flusso di denaro verso l’Italia di dimensioni mai viste, e che pone evidentemente un molteplice ordine di questioni: in primo luogo, occorre la capacità di disegnare un Piano nazionale realistico ed efficace, dando così concretezza ad una formidabile chance di sviluppo sociale per il nostro paese. In secondo luogo, occorre dimostrare la capacità di realizzare il piano, superando la storica arretratezza e farraginosità dei nostri procedimenti amministrativi, senza rinunciare alle garanzie di trasparenza e di legalità. E qui si innesta un terzo ordine di problemi, dovuto all’aumento dei rischi conseguenti proprio all’afflusso di trasferimenti a fondo perduto e di prestiti a tassi di interesse minimi, di fonte sia nazionale che comunitaria, che segnano questo periodo e proseguiranno nei prossimi anni.

 

Se dunque non si può che rallegrarsi del fatto che l’UE abbia deciso di intervenire con strumenti adeguati al fine di impedire che la crisi sociale ed economica dovuta alla pandemia travolga l’Europa, non possiamo nasconderci che i guasti storici del nostro tessuto sociale ci rendono particolarmente vulnerabili e rischiano di compromettere l’opportunità di miglioramento che ci viene offerta. Mi riferisco al fatto che l’emergenza sanitaria e gli ingenti flussi finanziari attesi intervengono in un sistema paese segnato da una presenza pervasiva della criminalità organizzata e da un elevato livello di diffusione della corruzione pubblica e privata, determinando un incremento dei rischi di condotte illecite in molti settori economici. Penso alla corruzione per l’affidamento di appalti ma non solo: l’incremento del rischio investe anche i reati di riciclaggio, frode in commercio (si pensi alle forniture mediche contraffatte), frode nell’accesso ai contributi europei, gestione dei rifiuti (si pensi al destino dei milioni di dispositivi di protezione infetti), usura (a danno di soggetti indebitati che non trovano altre fonti di finanziamento).

 

Alcuni episodi di cui si è letto in questi giorni dimostrano quanto il rischio sia concreto: l’arresto in Sicilia, per corruzione, del manager della sanità da poco nominato coordinatore dell’emergenza covid, insieme ad altri esponenti di rilievo dell’amministrazione regionale; la vicenda dei percettori di reddito di cittadinanza risultati essere noti ndranghetisti; l’indagine aperta a Milano sui fondi raccolti per la costruzione dell’ospedale in Fiera, su denuncia di alcuni donatori.

 

La Relazione ANAC sulla corruzione nella pubblica amministrazione in Italia, pubblicata a ottobre 2019 e relativa al periodo dal 2016, identifica alcuni settori nei quali, nell’ambito degli appalti pubblici, il rischio corruttivo è più elevato: il settore dei lavori pubblici (strade, costruzioni, sicurezza del territorio), il settore legato al ciclo dei rifiuti e il settore della sanità. Gli enti maggiormente interessati da episodi di corruzione risultano essere i Comuni, le società partecipate e le aziende sanitarie.  Da un punto di vista territoriale, spicca in negativo il dato della Sicilia, seguita da Lazio, Campania, Puglia e Calabria.

 

Come si vede, alcuni dei settori che già presentavano un elevato livello di corruzione – rifiuti e sanità – sono proprio quelli maggiormente a rischio nel contesto della crisi dovuta al covid. Ciò in quanto l’emergenza sanitaria e la necessità di approntare molto rapidamente strumenti e di ottenere risorse per farvi fronte mettono sotto pressione gli enti appaltanti e spingono nella direzione di ridurre tempi e, inevitabilmente, garanzie e vigilanza.

 

A questo proposito la Commissione UE, a inizio aprile, ha emanato una Comunicazione apposita, nella quale sono evidenziate le opzioni e i margini di manovra possibili al fine di accelerare e semplificare le procedure di affidamento degli appalti, nel rispetto del quadro normativo europeo. A seguire, l’ANAC ha pubblicato una dettagliata ricognizione delle disposizioni che, nel quadro del Codice dei Contratti Pubblici vigente, consentono di ridurre i tempi dei procedimenti, negoziare con potenziali contraenti o addirittura ricorrere ad affidamenti diretti, in presenza di estrema urgenza e nella misura strettamente necessaria.

 

Ancora più di recente, a inizio giugno, la Banca d’Italia ha pubblicato un Quaderno di ricerca giuridica dedicato ad analizzare le interazioni tra la disciplina sugli appalti e la normativa anticorruzione, con l’obiettivo di identificare soluzioni di semplificazione e accelerazione che, perseguendo una maggiore efficienza, non pregiudichino la tutela della legalità.

 

Queste prese di posizione delle autorità europea e nazionali – che identificano margini di semplificazione all’interno del quadro normativo vigente – sono utili al fine di contrastare le strumentali richieste, giunte da più parti, di cancellare tout court la normativa sugli appalti, con conseguente moltiplicazione del rischio di incursioni della criminalità organizzata.

 

Questi problemi non affliggono solo l’Italia: il 15 aprile il GRECO (Gruppo di Stati contro la corruzione che opera all’interno del Consiglio d’Europa) ha pubblicato un importante documento nel quale sottolinea come le situazioni di emergenza, di concentrazioni di potere, di deroghe ai diritti fondamentali, di afflusso di imponenti somme di denaro nell’economia, che stiamo vivendo a causa del covid, non possono che accrescere i rischi di corruzione nei paesi membri. Il settore della sanità è particolarmente esposto, con riguardo sia all’affidamento di appalti e all’offerta di prestazioni mediche che all’aspetto degli investimenti destinati alla ricerca e sviluppo di nuovi farmaci, data l’enorme dimensione delle somme di denaro investite, la rilevanza dei possibili conflitti di interesse e il peso che le lobbies possono esercitare sulle scelte degli enti pubblici e privati.  Sempre nel contesto della ricerca e sviluppo di nuovi farmaci, emerge anche il rischio di insider trading, cioè dell’utilizzo illecito di informazioni privilegiate relative alle imprese in lizza per lo sviluppo di nuove scoperte farmacologiche, che portano con sé potenziali crescite esponenziali di valore finanziario.

 

Nella sua dettagliata analisi, il GRECO identifica inoltre l’incremento dei rischi relativi alla fabbricazione e messa in commercio di prodotti medici contraffatti, alla falsificazione di documenti al fine di accedere indebitamente a contributi pubblici, al riciclaggio di denaro sporco.

 

Sul tema riciclaggio è intervenuta, in aprile, anche l’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia (UIF), con un documento sulla prevenzione dei fenomeni di criminalità finanziaria connessi con l’emergenza covid. L’UIF rileva come l’emergenza sanitaria espone il sistema economico-finanziario a gravi rischi di comportamenti illeciti: truffe, corruzione, speculazioni, usura e acquisizione di attività economiche da parte della criminalità organizzata a causa della debolezza economica di famiglie e imprese. I cittadini sono inoltre esposti, nell’attività online, al rischio di vendite truffaldine e di raccolte di fondi fraudolente a favore di fittizie organizzazioni no-profit.

 

In questo contesto, sottolinea l’UIF, è necessario operare affinché gli interventi pubblici raggiungano gli obiettivi prefissati, sostenendo famiglie e imprese in difficoltà, prevenendo possibili effetti distorsivi e preservando l’integrità dell’economia legale. Gli obblighi di prevenzione, cui il documento UIF richiama le banche e gli operatori finanziari e in genere tutti i soggetti destinatari delle disposizioni contro il riciclaggio, servono ad assicurare che l’intervento pubblico, nazionale ed europeo, riesca a raggiungere l’obiettivo di allocare le risorse dove il bisogno è effettivo.

 

Tutte le istituzioni citate – Commissione UE, ANAC, GRECO, UIF – insistono sulla necessità di adottare, a tutti i livelli, gli strumenti della trasparenza, della vigilanza e della accountability al fine di contrastare il concretizzarsi dei rischi di comportamenti illegali dei quali abbiamo accennato. E’interessante notare il processo di crescente integrazione tra le autorità di vigilanza nazionali ed europee: la Commissione ha tra l’altro annunciato l’intenzione di proporre la costituzione di un’autorità antiriciclaggio unitaria a livello europeo all’inizio del 2021.

 

Ma chiediamoci anche se i cittadini hanno un ruolo in questo quadro di disposizioni normative e di istituzioni preposte alla vigilanza contro la corruzione e gli altri rischi reato evocati dai documenti citati. La risposta è certamente positiva: il documento del GRECO si appella espressamente al ruolo di vigilanza che può svolgere la società civile mediante iniziative a livello delle comunità locali, mediante la condivisione di informazioni, mediante la messa a disposizione di canali per la segnalazione di situazioni critiche. Lo strumento del whistleblowing, cioè della segnalazione anche anonima nei luoghi di lavoro circa il sospetto di illeciti, che come sappiamo gode di protezione normativa, può anch’esso rappresentare – se utilizzato sulla base di concrete evidenze – un utile canale di emersione di condotte illecite.

 

In conclusione, il compito di tutelare la legalità e di contribuire alla riuscita dei progetti di rinascita economica che saranno finanziati sia a livello locale che dalle istituzioni europee è anche, nei limiti e nelle possibilità di ciascuno, responsabilità nostra come cittadini italiani ed europei.

 

Elisabetta Rubini